|
|
|
||||
|
|
Status
This job posting is CLOSED. No quotes can be placed
anymore.
Become a TRADUguide member to quote on future jobs like this.
Click here to register!
Not a member yet? Click here to register!
Request for translation quotes from freelance translators / translation agencies
Italiano > Inglese: Sea Travel book, 85000 word approx
Sea Travel book, 85000 word approx
Esempio di testo:
06 Pscatori di squali
Non avremmo mai pensato di incontrare qualcuno in queste terre aspre e desolate, dove è impossibile trovare una goccia d’acqua e un filo d’ombra. Invece, inaspettatamente, dopo aver ancorato la Barca Pulita in un canale tra due isole, abbiamo visto apparire un sambuco.
Scendendo dall’Eritrea verso lo stretto di Bab El Mandeb, la porta per l’oceano Indiano, a circa metà strada ci sono le isole Hanish, l’unico posto dove sia possibile sostare. Formate da nere rocce vulcaniche, sono disposte lungo l’asse del mare e non offrono ancoraggi riparati da tutti i venti. A seconda della stagione e del momento, il vento può venire da nord o da sud e si deve scegliere di conseguenza il posto dove buttare l'ancora, e si deve essere sempre pronti scappare se il vento dovesse cambiare idea, perché quella che un attimo prima era una baia tranquilla col girare del vento può improvvisamente diventare un inferno di onde e frangenti.
Ci siamo rifugiati in uno stretto corridoio chiuso tra due montagne nere e ripide dove si possono scorgere le colate laviche eruttate dagli antichi vulcani.
Sulla spiaggetta incuneata tra la montagna e gli scogli neri si intravede una capanna fatta di pezzi di legno e frasche secche. Dietro la spiaggia una laguna, incorniciata da arbusti verdi e piccole dune di sabbia chiara e, nella laguna, scorgiamo dei fenicotteri bianchissimi, che, ritti sulle zampe, ogni tanto affondano la testa nell'acqua in cerca di cibo. Poi, improvvisamente, come rispondendo ad un muto segnale, tutti i fenicotteri si alzano in volo spiegando le ali rosso fuoco e con pochi colpi vermigli migrano dalla parte opposta della laguna, dove non li possiamo più vedere. Nello stesso momento, da dietro l’isola a nord, compare il sambuco, dipinto di verde e di azzurro. La piccola barca di legno passa un po’ scostata da noi e si dirige proprio verso la spiaggia con la capannuccia, dove butta l’ancora.
“Devono essere pescatori che ritornano alla base, andiamo a terra a salutarli”
“Non vuoi andare tu da solo? sono stanca morta”
Dalle Dahlak qui sono stati tre giorni e tre notti di vento contrario, di cambi di vele, di virate e di guardie continue per evitare il traffico delle navi dirette a nord e a sud. A me poi stanotte è toccato l’ultimo turno, quello dalle tre alle sei, quello che odio di più, perché quando ti vengono a chiamare sei nel pieno del sonno e non hai nemmeno più il compenso psicologico di pensare che tra tre ore, finito il turno, potrai tornare a dormire. Poi all'alba abbiamo cominciato a far rotta per l'isola e a cercare l'ancoraggio e non ho più avuto nemmeno una mezzora per riposarmi. E' già pomeriggio inoltrato e non ho proprio voglia di mettere il gommone in acqua, armarlo di tutto punto, scendere a terra remando, e cominciare una chiacchierata estenuante, sforzandomi di tirare fuori il poco arabo che so, di fare gesti e cercare di capire le cose, solitamente poco interessanti che dicono i nostri interlocutori.
“Dai, non fare la pigrona” Carlo in questi frangenti non è mai stanco. Ha sempre voglia di andare a esplorare o di andare a pescare “vedrai, se andiamo a salutarli rimediamo il pesce per la cena!” La nostra traina infatti ha risentito della nostra stanchezza e per tre giorni è rimasta arrotolata intorno al suo rocchetto.
Quando arriviamo a terra i pescatori hanno già scaricato sulla spiaggia il frutto della loro giornata di lavoro: squali, solo squali! Una ventina di pescecani tra i due e i tre metri, che ora immobili e innocui, alcuni con la testa fracassata, giacciono sulla battigia.
“Mi sa che qui da mangiare non rimedieremo gran che”
“Poveri bestioni… a vederli così mi fanno quasi pena”
Quello che sembra il più anziano tra i pescatori ci viene incontro. Indossa una maglia di lana rossa, uno straccio annodato in vita che gli scende fino ai polpacci ed un altro arrotolato intorno al capo. Ha un'età indefinibile, la pelle scura e incartapecorita e un sorriso da topo che scopre dei denti inaspettatamente bianchi.
“Salamaleikum”
“Aleikumslam”
“Lizzi, Carlo”
“Fethini Ali”
Fatte le presentazioni, l’amicizia è instaurata e Fethini, il pescatore di squali, con poderose manate ci fa segno di unirci agli altri sulla riva.
“Salamaleikum” gridano agli altri 5 pescatori
“Aleikumsalam” rispondiamo guardandoli mentre cominciano a trascinare le carcasse degli squali nell’acqua fonda solo qualche decina di centimetri.
I pescatori lavorano a due a due. Ogni coppia si dedica ad uno squalo e con un coltellaccio cominciano a tagliare le pinne e la coda. La pelle dura del pescecane stride sotto la lama consumata e mi fa accapponare la pelle, come quando qualcuno gratta una lavagna.
Dopo ogni taglio i pescatori strofinano le lame su pietre piatte e ormai scavate dal passaggio di tanti coltelli e stranamente il rumore che ne viene è quasi vellutato confrontato con quello di prima.
Poi è la volta delle teste che vengono staccate con tagli netti e sembra quasi che le lame facciano meno fatica. L’acqua comincia a tingersi di rosso, anche se non è proprio solo sangue la broda color mattone che esce dalle carcasse decapitate.
Io ero entrata nell’acqua di slancio insieme con i pescatori per fotografarli meglio, ma tra lo stridio delle lame che mi faceva venire i brividi e l’acqua rossastra che mi sporcava le gambe e mi dava l'idea di chiamare a raccolta tutti gli squali vivi della zona, me ne sono tornata all’asciutto e al pulito della spiaggia.
Subito dopo la testa è la volta delle interiora. Dal ventre dello squalo esce una massa grugnoluta, senza forma e dal colore indefinito, tutta contenuta in una specie di sacco di lattice e che viene lanciata senza troppi complimenti in un angolo della spiaggia tra gli arbusti. Non prima però di essere stata privata del fegato, che invece va a finire in un vecchio barile sulla spiaggia, a pochi metri da noi.
“E con quello cosa fanno, lo mangiano?”
“Non so, cosa c’è dentro d’altro?”
“Fammi vedere!”
Sarebbe stato meglio di no, perché la poltiglia nera come la pece che già avviliva un po’ l’occhio, offende il naso a tal punto da colpire anche lo stomaco!
“Che schifo, ancora un po’ e ci vomito dentro!”
“Tanto non se ne sarebbero accorti”
Intanto i pescatori stanno aprendo la carcassa senza ossa e la riducono a due filetti giganteschi, dove affondano le lame creando incisioni profonde. Alla fine i grossi tranci di carne di squalo sciacquati e cosparsi di sale vengono delicatamente adagiati al sole a seccare sugli scogli neri lontano dalla sabbia.
“Uahed liom …. quais” in un giorno saranno secchi ci informa Fethini.
E non stento a crederci. Anche noi in barca facciamo seccare il pesce. Ce lo aveva insegnato Bruno, un navigatore solitario veneziano che avevamo conosciuto durante il giro del mondo con il Vecchietto. Lui quando pescava un pesce grosso, tagliava a striscioline sottili tutto quello che non era in grado di mangiare subito e poi lo appendeva con un filo tirato tra i due stralli di poppa, proprio come se fosse stata della biancheria stesa. Si ottenevano delle striscioline di pesce secco da staccare e mangiare in tutte le occasioni. Uno snak gustosissimo che variava la monotonia dei pasti delle lunghe navigazioni. Naturalmente, dopo il primo momento di perplessità, anche noi avevamo seguito l'esempio di Bruno e mettevamo le nostre striscioline di pesce a seccare appese a poppa. Non solo, ma avevamo anche inventato tutta una serie di varianti: alle volte steccavamo i pezzetti di pesce con grani di pepe, quando ne avevamo a disposizione li cospargevamo con sale al rosmarino, una volta abbiamo infarinato le striscioline nel curry e altre nel peperoncino rosso.
A seconda del tasso di umidità che c'era nell'aria ci volevano dai due ai tre giorni perché le striscioline di pesce fossero pronte, ma qui in Mar Rosso, con il vento secco del deserto, bastava una mattinata di sole per far seccare completamente il nostro bucato di pesce.
Intanto i pescatori finito uno squalo cominciano con un altro e poi con un altro ancora. Lavorano immersi nell’acqua fino alle ginocchia e i cenci che li ricoprono si bagnano nel mare tinto di rosso.
Un gruppetto di sule sovrasta la scena volando in cerchi concentrici e cercando di adocchiare qualche pezzetto di pesce lasciato incustodito, da afferrare con il becco e da portarsi via. Ma regolarmente il bottino risulta troppo pesante per il corpo minuto e leggero degli uccelli che dopo un paio di colpi d'ala con i quali tentano di prendere quota, si vedono costretti a lasciar ricadere in mare la preda.
“Baby, Baby…” grida Fethini e tutti gli altri gli si affollano intorno.
Dalla pancia che ha appena aperto sono saltati fuori 4 squaletti non ancora nati. Il coltello di Fethini stavolta entra senza stridere e con una manovra competente porta allo scoperto il fegato, che, come quello degli adulti, subisce un trattamento di riguardo: se lo mangiano subito crudo così come è e me ne offrono anche un pezzo!
“Lah, shukran” no grazie, non me la sento proprio di fare anche questa esperienza. Meno male non si offendono, sono solo un po’ stupiti dal rifiuto di una tal prelibatezza e non perdono tempo nel trangugiarsi anche la mia parte.
Subito dopo, dalla pancia di uno squalo nutrice, appare una sacca di uova gialle, grosse come ciliegie. Proprio come quando da piccola in campagna, andavo a vedere la contadina della casa vicina, che tirava il collo alle galline e poi le puliva. Mi ricordo a volte che all’interno c’erano le stesse uova: palline gialle, avvolte in una membrana trasparente, senza ancora il bianco né il guscio.
Alla fine tutto è pulito e in ordine: le code e le pinne sono messe a seccare sugli scogli più alti, la carne salata su quelli più bassi, le teste e le interiora sono buttate in un angolo lontano e sotto il barile con i fegati viene acceso il fuoco.
Quando tutto è finito, Fethini, si avvia verso la capanna e gesticola perché lo seguiamo.
“Sit, sit…Welcome”
E non appena ci sediamo lui scompare alla nostra vista insieme ai suoi amici.
“Dove saranno?”
“Sono in mare a lavarsi e a lavare i vestiti" li vedo dalle fessure della capanna.
“Non farti accorgere che li stai guardando. Sicuramente si vergognano a farsi vedere da una donna mentre si lavano!”
“Non possono vedermi ci sono le frasche della capanna. E poi sono così pudibondi che si lavano con addosso i loro stracci”
Dopo un po’ li vediamo, puliti e cambiati, prostrarsi dietro la capanna nel piccolo spiazzo delimitato da conchiglie bianche e orientato verso nord est: la loro moschea. Alla fine della giornata, li sentiamo ringraziare Allah per esserci, per aver dato loro la vita e sicuramente per la buona pesca.
La buona pesca per loro sono essenzialmente le pinne e le code degli squali. E' per questo motivo che in tutto il Mar Rosso e in gran parte dell'oceano Indiano i pescecani vengono pescati indiscriminatamente. Le pinne valgono a 24 dollari a dozzina e attraverso una lunga serie di intermediari arriveranno da questo luogo sperduto del Mar Rosso fino a Singapore da dove, opportunamente trattate e confezionate, andranno ad allietare le tavole di cinesi e giapponesi.
In altre isole sempre qui in mar Rosso ci è capitato di camminare su spiagge, lunghe qualche chilometro, interamente ricoperte di carcasse maleodoranti. Dai corpi degli animali erano state asportate solo pinne e code e il resto era stato lasciato a marcire sotto il sole. I pescatori convivevano con il marciume e con la puzza e sulle spiagge battute dal vento non avevano neanche la forza di costruirsi delle capanne. Nell’intervallo tra una battuta di pesca e l’altra si accampavano direttamente sul terreno, sotto stuoie fatte a sacco che di giorno li riparavano dal sole e la notte dal freddo.
Qui da Fethini è diverso. E’ tutto pulito e ordinato, la spiaggia è libera dagli avanzi, gli scarti sono messi in un angolo a beneficio delle sule e degli uccelli rapaci. Anche in mare non deve restare niente: potrebbero arrivare degli squali. Anche la carne non resta a marcire sulla spiaggia, ma viene messa a seccare. Certo non renderà come le code e le pinne, ma al mercato di Moka andrà bene per i commercianti eritrei o per il bestiame dei sauditi.
Dopo un po’ la litania ripetitiva della preghiera finisce. Il sole sta tingendo di rosso il cielo e tra un po’ cadrà in mare, incendiando gli scogli neri di lava. I pescatori vengono a sedersi accanto a noi nella capanna, dispongono stuoie e coperte sulla sabbia per farci stare più comodi.
Fethini è il più vecchio, gli altri sono poco più che ragazzi e lo trattano come un capo.
“ Carlo, Fethini ...akul…..” esordisce il nostro amico.
“Lizzi hai capito ci ha invitato a cena. Cerca di mostrare un po' di gratitudine?”
“No ti prego io quella schifezza nera non la voglio…e poi portiamo via il cibo a loro che hanno sgobbato tutto il giorno…trova una scusa dai…” è tutta la gratitudine che riesco a tirar fuori.
Ma non è facile. Alle proteste, peraltro debolucce, di Carlo, Fethini risponde ridendo e facendo un segno, come di portarsi il cibo alla bocca. Ormai ha deciso per noi. E tutti sembrano entusiasti dell’idea, un diversivo così, due ospiti stranieri, val bene una riduzione delle razioni.
Tutti entusiasti, tranne me, sono terrorizzata al pensiero del barile dei fegati, so già che sarò costretta a provarne almeno un paio di bocconi e sarà impossibile rifiutare.
Fuori dalla capanna è rimasto quello che sembra il più giovane di tutti, intento ad armeggiare. Esco e vado a fargli compagnia. Sta trafficando per terra sulla sabbia, scava un po’, poi solleva un'asse semisommersa
“Tandoor” mi dice indicandomi quello che appare. Dei pezzi di sacco e di cartone che ricoprono un barile affondato nella sabbia. All’interno, sul fondo, ci sono delle braci rosseggianti e sopra le braci stanno arrostendo due bei pesciotti. Il ragazzino affonda il braccio oltre il gomito nel barile per rigirare i pesci sul fondo. C’è un profumino molto invitante. Prima di richiudere il barile Alim modella due focacce da un impasto di acqua e farina che tiene in un catino di latta, le schiaccia tra le palme delle mani e le sbatte sulle pareti verticali del barile, per farle rimanere appiccicate e cuocerle lontano dalla brace. Poi chiude e ricopre con la sabbia.
Sono piacevolmente sorpresa!
A pochi metri, su un altro fuocherello acceso direttamente sulla sabbia e riparato dal vento con un siparietto di cartone, c’è una pentola piena di riso e un'altra con una broda rossa dove navigano pezzi di pesce.
“Akul?” si mangia? chiedo con finta indifferenza indicando tutto quel ben di Dio.
“Aiua, akul” risponde scoprendo i denti e facendo brillare gli occhi.
“Sei sicuro, e allora il fegato…?”e gli indico il barile sul fuoco acceso.
Devo averlo disorientato perché con un'espressione preoccupatissima corre a guardare dentro il barile del fegato, lo rimira
“Adesso vomita” penso.
Ma si vede che su di lui il fetore non ha effetto
“Lah akul,…feluka…” e mi indica il sambuco e la sua chiglia
“Cosa ..vuoi vedere che…”e improvvisamente mi ricordo di quante volte ho visto dei pescatori che stavano spalmando la barca, dentro e fuori, con una poltiglia appiccicosa e puzzolente. Non eravamo mai riusciti a capire di cosa si trattasse. Più di una volta mi sono ritrovata a salire su una canoa o su una barca più grande e a scoprirmi poi i pantaloni irrimediabilmente macchiati da una cosa scura e appiccicosa. Tutte le volte che chiedevo cosa fosse quella roba, che evidentemente serviva per proteggere il legno, i proprietari delle barche mimavano i pesci, o qualcosa che avevo captato stare in mare e si segnavano la pancia. La cosa mi insospettiva sempre e preferivo non approfondire e regolarmente la volta successiva mi sporcavo i vestiti e rimanevo appiccicata a un’altra barca.
Finalmente ho capito che quella specie di vernice impermeabilizzante è ricavata dai fegati degli squali (e forse di altri pesci) fatti bollire e poi lasciati marcire. La scoperta più interessante però è il menù della nostra cena.
Rientro di corsa nella capanna per dare la buona notizia a Carlo. Nel fresco della penombra Fethini sta raccontando del suo lavoro. Lui e i suoi ragazzi vengono da Moka, 55 miglia a est da qui, sulla costa dello Yemen. Vengono con il sambuco carico di barili d'acqua e di benzina, qualche sacco di riso, di farina, un po' di zucchero, un po' di te, un po’ di tabacco. Tutti i giorni escono in mare, ritirano le reti posizionate il giorno precedente, raccolgono gli squali, riparano le reti e le ributtano in acqua. Poi tornano alla loro piccola base, trattano il pesce, pregano, mangiano e vanno a dormire. E all’alba del giorno successivo tutto ricomincia e si va avanti così per un mese e mezzo, due fino a quando non finiranno l'acqua e la benzina. Allora caricheranno sul sambuco i barili vuoti e i sacchi riempiti con le pinne e la carne secca e faranno ritorno a Moka. Il tempo di vendere ai mercanti arabi e cinesi, salutare le famiglie, comprare altre provviste ed è già tempo di ripartire per l'isoletta.
I pescatori parlano solo arabo, ma il nostro piccolo vocabolario, formatosi nei mesi trascorsi nel Mar Rosso e soprattutto il linguaggio universale dei gesti, ci permettono di capire le linee essenziali del discorso di Fethini e di raccontargli a nostra volta del nostro viaggio con la barca, del nostro paese, di quelli dove siamo stati e di dove andremo.
Da fuori Alim, il mio amico cuciniere, manda un fischio: è il segnale che il pasto è pronto. Qualcuno esce ad aiutarlo e così la pentola con il riso e quella con la broda rossa, il pesce arrostito sulla brace e le due focacciotte vengono portati in mezzo alla stuoia.
Si mangia con le mani, facendo delle palline con il pane e tuffandole nella broda rossa; si prendono dei pezzi di pesce arrostito e ci si riempie la bocca di riso.
Il surrogato di pane è caldo e croccante, anche se la parte che è stata a contatto con il barile è ricoperta di nero. I pescatori sono abilissimi a mangiare con le mani, anzi con la sola mano destra, lasciando la sinistra mollemente appoggiata alla gamba e sporcandosi solo la punta delle dita. Noi invece, continuiamo a sorprenderci a vicenda nell'atto di usare la mano sinistra (grave offesa: va relegata ad altri scopi!) e continuiamo a scottarci le dita con la broda rossa, che ha un profumo e un sapore squisiti, ma contiene una valanga di peperoncino e mi fa gocciolare il naso e non so più con quale mano me lo posso pulire!
I pescatori non sono eccessivamente offesi dal nostro comportamento, anzi sembrano piuttosto divertiti. Chiacchierano e scherzano e Fethini si caccia in bocca grosse manate di cibo, facendone cadere poi la metà sulla stuoia nell'intento di dare una colonna sonora alla frase che sta mimando.
Il cibo è squisito e dopo i tre giorni di navigazione scomoda e faticosa non potevamo sperare di meglio: zuppa di pesce, pesce arrostito, riso, pane caldo e croccante.
Quando il pesce, il riso e la broda sono finiti, Alim spezzetta il pane avanzato in una ciotola, lo cosparge di burro schiarito, proveniente da una latta sospetta e ci getta sopra una manciata di zucchero. Tutte le mani si tuffano insieme nella ciotola a rimescolare febbrilmente il miscuglio di pane, burro e zucchero, fino a farlo diventare una poltiglia giallognola. Poi si leccano fino ai polsi le mani sporche di zucchero e riprendono a fare palline con il dessert.
Nella mischia riesco ad evitare l'assaggio, anche se Carlo continua a ripetermi che è buonissimo!
Quando l'ultimo granello di zucchero è stato leccato dalla ciotola Alim toglie la stuoia che fa da tovaglia e la va a sbattere lontano dalla capanna, poi porta una bacinella piena d’acqua di mare per lavarsi le mani e il termos con il te. A me spetta la tazza migliore, il coperchio del termos, che ricorda solo lontanamente il bianco di un tempo. Appaiono anche delle latte di olio vuote e, per Carlo, il fondo di una bottiglia di plastica della quale non riesco ad indovinare il colore originale.
Il te è bollente, dolce, profumato di zenzero e di cannella. Il suo aroma nobilita i contenitori in cui è servito e li fa sembrare tazze di porcellana finissima.
Language pair(s)
Italian
> English
About the outsourcer
The outsourcer information has been removed because this job posting has already been closed.
You cannot place a quote anymore because this job posting has already been closed.
Subscribed to calls for feedback?
Please subscribe to feedback
calls to share your experience on the Feedack Forum.

When subscribed you will receive requests to leave feedback on translation outsourcers.
Click here to subscribe.