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Italiano > Inglese: Romanzi/storie di genere horror

- Scrivo romanzi/storie di genere horror, horror-fantasy e argomenti correlati.
- Argomento: vampiri, storie horror, mostri, ecc...
- lunghezza dalle 300 alle 400 pagine.
- Non ho un termine preciso di consegna, tempi elastici.

Esempio di testo:
Quando Deke L. Scott vide arrivare suo figlio sparato a tutta velocità in cucina, dove era intento tenere una conversazione con la moglie Roberta e la sorella della stessa, moglie a sua volta di J. L. Palmer, poté subito scorgere sul volto del ragazzino l’immagine pura e nitida del terrore.
Il piccolo era volato nelle braccia del padre urlando come una sirena impazzita e, non appena Deke ebbe il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, qualcosa gli suggerì che il bambino aveva assistito a un fatto terribile. Suo figlio era impaurito! Terrorizzato! Scioccato, per Dio! Tremava come una foglia, come un coniglio inseguito da un segugio! Che diavolo mai poteva essergli accaduto?! Momentaneamente allibito, Deke non era riuscito a fare altro che abbracciarlo fortissimo. Subito dopo si era impegnato nel sussurrargli all’orecchio di non preoccuparsi, di non avere paura, perché era tutto finito, qualunque cosa avesse visto – cosa non poteva saperlo – ora non c’era più, non era più lì. «Qualunque cosa ti abbia spaventato, tesoro», disse, «ora se n’è andata! Non temere!»
Il Signor Scott, all’oscuro di ogni evento, sconcertato e perplesso, come ogni padre avrebbe fatto, cercò al meglio di ristabilire la calma e di far chiarezza sull’accaduto. Tentò allora di chiedere al piccolo cosa avesse visto, cosa l’avesse fatto correre strillando in quel modo, fino a rischiare di scapicollarsi o inciampare e farsi male veramente. Ma il bimbo, terrorizzato e pallido, non riusciva a proferir parola, piangeva convulsamente, così Deke cercò di essere ancora più convincente, ancora più persuasivo. Era un buon padre e da tale si sarebbe comportato. Capiva come, delle volte, i bambini fossero facilmente spaventabili: lui stesso era stato capace una volta, da piccolo, di vedere un fantasma, risultato dell’addizione tra un sacchetto di plastica mosso dal vento e la propria fantasia. Sì, col senno di poi aveva svelato quell’arcano mistero, ma adesso? Era difficile trovare una spiegazione per quel visetto e quello sguardo impauriti. Tuo figlio è spaventato! pensò. Ecco tutto! È molto semplice! Già, ma il modo in cui il bambino si era presentato ai genitori, era molto insolito e leggermente fuori dal comune. Non si trattava di un semplice spavento. Sembrava follia pura. Terrore vero.
L’atmosfera in cucina era la stessa che si respira a un funerale, fredda e piatta, silenziosa all’esterno, ma piena di voci e pensieri al di là degli involucri in carne ed ossa degli invitati al festino mortuario, che invece parlano, conversano e tirano le somme su tutti e su tutto, sulla vita e sulla morte… sempre nelle loro menti. Uno spiffero di aria gelida colpì la signora Roberta e la sorella. Era aria malsana. Deke non la vide, era impossibile farlo, ma la percepì a contrasto con la sua pelle. Suo figlio era il filo conduttore di un’energia negativa e il suo volto ne era l’immagine.
Quando fu chiaro che gli abbracci e le parole di conforto erano quasi del tutto inutili, Deke decise di perlustare la casa. Altre volte avrebbe lasciato correre, avrebbe scavalcato, sdrammatizzando con qualche battuta e mandandola in burla, dando a credere che mai nulla di tanto strano sarebbe potuto accadere o era accaduto, ma quella sera dare un’occhiata in giro sarebbe risultato salutare per sé, in memoria del sacchetto di plastica che tanto l’aveva spaventato, e per suo figlio. Se il bimbo fosse rimasto traumatizzato, non se lo sarebbe mai perdonato.
Il corpicino che stringeva tra le braccia tremava e l’anima della ragione lo aveva abbandonato. Si capiva benissimo. Era una di quelle situazioni in cui bisognava mettere tutto a posto e al posto giusto, oppure la creatura che proteggeva tra le braccia avrebbe sofferto la paura per sempre.
«Okay, mettiamo i puntini sulle I!» esclamò dunque l’uomo, non poco preoccupato.
Pochi secondi dopo, Deke voltò lo sguardo verso la moglie e la cognata, incuriosito di leggere le emozioni che trapelavano sul volto delle due donne, poi si alzò in piedi. Era come se la lama di un machete, sbucata da chissà dove, fosse piombata nella stanza tagliando l’aria, facendo balzare tutti all’indietro, minacciando i petti palpitanti. Ma in quello di Deke, la lama era penetrata a fondo. Lui la sentiva fin dentro le viscere e provava, anche se in modo mille volte ridotto, quella stessa emozione che quel corpicino urlante si era portato dietro dal momento in cui aveva varcato la soglia. Terrore.
«Dai! Dai! È tutto a posto piccolo mio! C’è qui tuo padre! E anche tua madre!» aveva esclamatò poi Deke cercando di compiere per l’ultima volta il proprio dovere. «E la zia!» aveva continuato. «La zia che ti piace tanto! C’è anche lei!»
Ma il bambino era stato come marcato a fuoco, come si fa con gli animali, non vi erano bruciature eppure continuava a scottare. Non si placava, non aveva l’aria di volersi redimere dalla follia che aveva in volto, di lì a breve.
Era stato scelto da qualche maniaco e messo di fronte a qualche atto osceno? Era stato forse impaurito a morte, tanto da traumatizzarlo? Nessuno avrebbe saputo dirlo e il bambino continuò a stringere il padre anche una volta che egli si fu sollevato. Gli si aggrappava alle gambe, lo strattonava come volesse fuggire da qualcuno o qualcosa. Teneva gli occhi sbarrati. Avanti Deke. Vai a mettere i puntini sulle I. Proprio come ti diceva sempre il tuo buon vecchio. Solo così capirai di cosa realmente si tratta. E anche tuo figlio! Potrebbe trattarsi dell’ennesimo sacchetto di plastica!
Roberta tentò di far bere il fanciullo, cercando di calmarlo a sua volta. Dall’istante in cui era apparso sulla porta scalciante e terribilmente impazzito, solo Dio sapeva per che cosa, era in pratica bianco in viso e non riusciva più a prendere colorito, aveva gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite e… per poco Roberta non aveva immaginato di vedergli anche i capelli rizzarsi sulla testa! Lei, madre da pochi anni, ma pur sempre madre, aveva temuto come prima cosa che suo figlio si fosse fatto male, ma… almeno fisicamente, egli stava bene. E poi, con cosa poteva essersi ferito? Aveva cercato risposta negli occhi della sorella, ma nulla da fare. Nessuno avrebbe potuto rassicurare nessuno, per non parlare di suo marito! Sembrava fuori allo stesso modo, nonostante l’età gli concedesse di mantenere la calma, non permettendo alla paura di esternarsi. Che razza di situazione era mai quella… nulla del genere era mai capitato prima d’ora!
Beh, semplice, se vogliamo. Il figlio di Deke stava giocando con le proprie costruzioni e i piccoli mostriciattoli che tutti i bambini della sua età guardavano nei cartoons e con cui amavano divertirsi immaginando battaglie e lotte, quando a un certo punto, non si sapeva per quale motivo, il piccolo, che giocava nell’ingresso dell’abitazione – i bambini si mettono a giocare ovunque gli piaccia nella tenera età – aveva sollevato lo sguardo e aveva catturato l’immagine della veranda. La veranda! Giusto! Perché era quella che si vedeva dal punto in cui si trovava il malcapitato! In veranda doveva essersi svolto qualcosa o semplicemente qualcosa aveva preso forma nella mente del ragazzino, impaurendolo a morte. Tutto qui! Un’immagine al di là della porta principale, subito dopo l’ingresso di casa. Forse un sacchetto mosso dal vento aveva dato l’aria di trasformarsi in fantasma, forse una forma scura, appena concreta, si era materializzata nella tiepida serata… dando vita a chissà quale fantasia.
Deke e le due donne andarono a controllare, ma senza ottenere risultato. In veranda non trovarono nessuno.
J. L. Palmer, marito della sorella di Roberta, non era in casa quella sera. Era un uomo d’affari e spesso era in giro per comprare, vendere e offrire ogni genere di azione commerciale, industriale, e solo chi stava dietro a tutti quei giri sapeva cos’altro. Le due donne, ancor prima che lo stesso Deke dicesse loro di stare attente, uscirono in giardino per vedere se tutto rientrava nella comune routine o se, magari, qualche vicino sciagurato si fosse divertito a fare paura al loro cucciolo. Ma non videro anima viva.
Deke le seguì stando loro subito dietro e stringendo in braccio suo figlio, non ancora del tutto tranquillizzato. L’uomo iniziò a pensare che forse un cane o un gatto potevano nell’oscurità aver spaventato il piccolo… ma affacciandosi non vide altro che l’incedere della tranquilla serata. Non c’era nessuno. Nessun rumore, nessun uomo… nessun cane o gatto! Niente! E se anche qualcuno ci fosse stato, era davvero scomparso nel nulla. Mentre costatava ciò, assieme a Roberta e alla cognata, suo figlio stava smettendo di tremare, la sua faccia riacquistava colorito e la paura, il terrore, andava scemando. Più tardi, il bambino stesso avrebbe raccontato, man mano che l’atmosfera oscura e misteriosa andava placandosi, di aver visto qualcosa che lo aveva terrorizzato, qualcosa che non sapeva descrivere a parole. Una figura scura, forse incappucciata, che Deke riportò subito a uno scherzo beffardo della fantasia, complici le ombre della notte.
Certe cose, però, molte volte lasciano il segno, anche se tale segno non è nella nostra capacità umana concepirlo. Un segno indelebile, capace di permanere sulle cose e nel tempo.

Era una notte serena, fresca e tiepida. Il cielo era limpido e i grilli, in lontananza, emettevano i loro richiami come sempre, di quei periodi.
La famiglia raccolta nella veranda tentava ancora di rispondere all’inquietante domanda rimasta appesa nell’aria. Roberta, che di lì a un anno circa, o poco più, avrebbe abbandonato sua sorella e mai più si sarebbe recata da lei per cenette serali o abbondanti pranzi durante le feste; Deke, un uomo benestante, dignitoso, dallo spirito nobile e preciso, con un buon lavoro che, al fianco di sua moglie, avrebbe ben presto abbracciato gli angeli del cielo e non avrebbe più rivisto suo figlio; Mike, il bambino impaurito. Colui che non avrebbe sorriso per sempre...

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Arts/Entertainment

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