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Italiano > Inglese: Romanzo urban fantasy di 78070 parole

Romanzo urban fantasy, di 303 pagine, 78070 parole.

Scadenza massima agosto/settembre.

Esempio di testo:
Drin. Drin.
La sveglia mi destò come ogni notte dal mio sonno senza sogni, cupo, triste, solo.
Raramente sognavo qualcosa, il che era da un certo punto di vista un bene dato che le uniche immagini che invadevano di rado la mia mente di notte erano mostri, ombre, oscure presenze, strani simboli.
Le mie notti o erano sole e abbandonate, oppure erano perseguitate da terrore.
Aprii gli occhi e spensi la sveglia, mi voltai e vidi la piazza del letto a fianco a me vuota.
Mark restava fuori fino a tardi con chissà chi, a fare chissà cosa, ma personalmente non mi interessava più di tanto sapere chi frequentasse e cosa facesse.
Talvolta stava fuori tutta la notte e rientrava nel primo pomeriggio seguente senza neanche una spiegazione o una parola di conforto.
Cose che ormai non mi aspettavo e non pretendevo più da tempo.
Mi alzai e mi diressi verso la cucina per bere un sorso di succo d'arancia: arrivata nella piccola sala che divideva la camera da letto dalla cucina, percepii un soffio d'aria fredda sul corpo, che proveniva dalla finestra aperta di fronte a me.
Guardai le tende muoversi, fluttuando nel vento, danzando quasi come se avessero vita e avessero voglia di fuggire, fuggire ballando.
Si gonfiavano, si sgonfiavano, ondeggiavano a destra e a sinistra, si intrecciavano, si alzavano e si abbassavano, accompagnate dal gioco di ombre che, grazie al chiarore della luna, si formava.
Era la natura a creare nel modo più semplice e speciale le piccole meraviglie che ci circondano.
E in quel sospiro di vento e alla fioca luce riflessa della luna mi sentivo un po' meno sola, un po' più protetta.
Mi avvicinai cauta alla finestra, come se temessi di disturbare quella meravigliosa danza, mi pareva quasi di percepire le note in sottofondo, “Moonlight”, e iniziai a canticchiare fra me e me.
Aprii un po' di più la finestra e guardai giù.
Era mezzanotte inoltrata e la strada era quasi totalmente deserta: le macchine, le risate dei bambini, l'abbaiare dei cani, le mille voci di persone che si sovrappongono durante la giornata erano svanite. Tutte a dormire sotto un tetto sicuro.
Io di sicuro invece non percepivo nulla, e tutto fu immediato.
Guardai nuovamente giù, appoggiai entrambe le mani al parapetto e mi sollevai facendo leva sulle braccia.
Un piede e poi l'altro, ero raggomitolata su me stessa mentre mi tenevo ancora con le braccia in bilico su un pezzo di metallo.
Poi mi lasciai andare.
Sentii le mani e i piedi scivolare quasi contemporaneamente, attratte dalla forza di gravità, giù, sempre più giù, col vento tra i capelli, il cuore in gola, le membra irrigidite.
Irrigidite dalla paura.
Fu solo in quel momento che mi accorsi di aver paura, paura di morire, paura di non poter più vivere nulla di bello, paura di dovermi abbandonare ad una fine così brutta dopo aver sprecato la mia breve vita.
Volevo colorare la mia vita prima di morire.
E fu così che provai ad urlare, a chiedere aiuto, ma nessun suono mi uscì dalla gola.
Tutto scorreva velocemente intorno a me, tanto da non poter distinguere alcuna forma, percepivo solo il marciapiede che si avvicinava rapidamente.
Volevo chiudere gli occhi per non assistere all'impatto ma non ce la facevo.
Il suolo era sempre più vicino.
Velocemente più vicino.
Percepivo già il dolore e la macchia informe che si creava davanti ai miei occhi sbarrati dalla paura[,] sembrava stesse per prendere vita.
Quel simbolo, così vivo nei miei ricordi, eppure così estraneo.
Era un simbolo che avevo già visto, sì, ma che cos'era?
Cosa significava?
Era vicinissimo. 2 metri. 1 metro. E tutto finì.

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Arts/Entertainment

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